Contrastare non solo la Ndrangheta, ma anche una sua certa mitizzazione (portata avanti anche da alcuni intellettuali o appartenenti ai cosiddetti “salotti buoni”) troppo spesso usata per giustificarla o porla in alternativa alla povertà, l’ignoranza e la corruzione che avvelenano la Calabria: questo è lo scopo principale di “Storia segreta della Ndrangheta”, l’ultima fatica letteraria di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso (edita da Mondadori), presentata oggi a Palazzo Alvaro di Reggio Calabria con la giornalista Paola Bottero come moderatrice. Una storia mica tanto segreta e mai narrata, frutto di accurate indagini e consultazioni presso svariati archivi da parte dei due autori, dato che, tirando un po’ le somme, si arriva alla conclusione che la stessa Storia (sì, quella con la s maiuscola) d’Italia dall’Unità ad oggi combacia (e diverse volte si intreccia) con quella delle grandi organizzazioni criminali del Mezzogiorno, ndrangheta compresa. Con questo volume, il magistrato e lo storico ci raccontano un’alleanza pericolosissima tra ndrangheta ed istituzioni che non è roba solo degli ultimi anni, ma che affonda le radici già nella prima metà dell’Ottocento; rivedono e ribaltano di significato diversi episodi storici e figure emblematiche (come quella del brigante Musolino) spogliandole di ogni orpello leggendario e mostrandole in tutta la loro verità storica nuda e cruda (e per molti versi anche inquietante, vista l’eredità criminale e sociale che ci hanno lasciato).

Tutto nasce nell’Ottocento

E’ a metà del XIX secolo che si saldano concretamente i rapporti tra Ndrangheta e politica: “Con questo libro abbiamo voluto ricostruire non solo i legami, ma la stessa legittimazione della Ndrangheta da parte delle classi dirigenti calabresi e, in parte, nazionali  – ha esordito Nicaso – stando ai documenti che abbiamo esaminato, già a metà Ottocento esistevano importanti rapporti di collaborazione tra gli ndranghetisti e i massoni, poi evolutisi e proseguiti fino ai giorni nostri”.

Mitizzazione ed indifferenza dello Stato

“La mitizzazione delle organizzazioni criminali, e soprattutto della ndrangheta, è sempre stata un male – ha poi dichiarato il procuratore Gratteri – perché ha praticamente spinto ad ammantare la mafia calabrese di un’epicità o, se vogliamo, di una moralità sui generis che essa non ha mai avuto. E il risultato di tutto questo è consistito in una generale giustificazione di quei “centri di potere” che hanno sempre lucrato e operato con certi personaggi e che un giorno dovranno spiegare nei dettagli la provenienza del loro denaro e che fine esso abbia fatto. Ma abbiamo sbagliato anche noi calabresi, tutti quanti, che ci siamo raccontati e ripetuti fino alla nausea leggende e favolette come quelle di Giuseppe Musolino o di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, tutte storielle edificanti usate solo ed unicamente per mantenere saldo il potere e per delegittimare molto spesso anche il nostro lavoro d’indagine; per questo motivo abbiamo esaminato tutti i documenti e scritto il libro, per sconfiggere anche queste leggende monolitiche. Anzi, aggiungerei che buona parte della storia politica e sociale di Reggio Calabria andrebbe rivista secondo l’ottica che noi presentiamo in queste pagine: una compagnia di politici e personaggi, a molti dei quali i reggini hanno anche intitolato vie e piazze, che si sono sempre accostati alla Ndrangheta (e viceversa) per i loro scopi da almeno due secoli”.

Ndrangheta, storia ed economia

“Lo possiamo tranquillamente ammettere: non si può neppure raccontare la storia d’Italia senza tener conto della mafia o della ndrangheta e gli episodi storici che ne forniscono conferma sono molteplici – ha poi aggiunto Nicaso – come ormai anche i sassi sanno, neppure l’economia è esente dalle infiltrazioni (o sarebbe meglio dire “invasioni”) mafiose, è ora di finirla con quel luogo comune del crimine che genera solo povertà nel suo territorio d’origine; il ndranghetista non è più (o non è mai stato) il pecoraio che scende dalla montagna, ma il brocker che ricicla il denaro e vive nel lusso. Ma, come già affermato dal procuratore, se la ndrangheta si è diffusa così prepotentemente la colpa è anche dei calabresi: senza ovviamente generalizzare, ma è indubbio che nei decenni si sia rafforzata una sinergia totale tra ndranghetisti, massoni, aristocratici, possidenti ed anche professionisti. Dobbiamo quindi ribellarci, riprendere in mano la nostra società”.

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