Si è chiuso da ore il sipario sulla 91esima edizione degli Academy Awards, il riconoscimento più importante della Settima Arte internazionale. Tra sorprese inaspettate, momenti scoppiettanti e qualche, immancabile polemica post-kermesse, gli Oscar 2019 saranno in realtà ricordati per una dilagante ondata di “politicamente corretto” che ha finito inevitabilmente per condizionare la consegna stessa dell’ambita statuetta.

Oscar antirazzista

La cerimonia degli Academy si è caratterizzata per alcune importanti novità. Il primo cambiamento da registrare rispetto alle precedenti edizioni è stato quello della totale assenza di conduttori dello show, una mancanza per nulla avvertita da platea e telespettatori, che hanno potuto invece godere appieno dello spettacolo, mai come quest’anno imperniato sul contributo apportato dalla musica all’universo cinematografico.
Non a caso, i momenti più alti della manifestazione sono stati rappresentati dalla performance dei Queen con il giovane Adam Lambert – capaci di far scatenare, con l’indimenticabile sound della band, l’ingessata platea del Dolby Theatre di Los Angeles – e l’intimistico duetto tra Lady Gaga e Bradley Cooper sulle note di “Shallow” (Oscar come Migliore Canzone) che ha commosso, tra gli altri, la bellissima moglie dell’attore, Irina Shayk. La consegna vera e propria dei premi, invece, ha scatenato un non così tanto sottile malcontento tra addetti ai lavori e patiti di cinema giacché condizionata, più che dalla qualità tecnica delle pellicole in gara, da quello che molti organi di stampa e critici specializzati hanno ribattezzato il “politicamente corretto“.
Numerosi sono gli esempi da citare per sostenere tale tesi. Il più eclatante è soprattutto quello di “Green Book“, storia di amicizia tra un bianco italo-americano ed un afroamericano nell’America razzista degli anni Sessanta, che ha portato a casa i Premi come Miglior Film, Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Attore Non Protagonista (assegnato all’attore nero Mahershala Ali). Un film che parla di tolleranza, fratellanza e che invita, con buona pace dell’attuale politica “razziale” di Donald Trump, ad abbattere ogni muro superando le differenze sociali ed etniche.
La domanda che però pubblico e stampa si sono posti è: “Green Book è veramente il Miglior Film di questa annata?“. Il tarlo del politicamente corretto si è così insinuato nella mente di molti anche “grazie” alla consegna di altri riconoscimenti, che hanno visto alternarsi sul palco diversi interpreti afroamericani, americani di seconda generazione figli di immigrati e tante, tantissime donne, a differenza di quanto accaduto lo scorso anno. Il movimento “Me Too” ha dunque, seppur con 365 giorni di ritardo, attecchito nella “sala dei bottoni” dove la blasonata Giuria degli Academy Awards si era ritirata precedentemente per deliberare. La sconfitta di “Roma” nella maggiore categoria (nonostante la pellicola di Alfonso Cuaròn sia uscita dal Dolby Theatre con tre importanti riconoscimenti: Miglior Regista, Miglior Film Straniero e Miglior Fotografia) non ha lasciato indifferenti importanti personalità del cinema internazionale. Ha suscitato scalpore, tra gli altri, il post Instagram al vetriolo di Alberto Barbera, Direttore della Mostra del Cinema di Venezia: “Nell’anno in cui Roma ha dimostrato di essere il film più bello in assoluto (e il più premiato), Alfonso Cuaron si porta a casa tre Oscar ‘pesanti’: miglior film straniero, miglior regia, miglior fotografia. “Green Book” si deve accontentare della statuetta per il miglior film (?), la sceneggiatura originale (?) e l’attore non protagonista. La dittatura del politicamente corretto la spunta sui valori artistici puri. Intanto Cuarón allarga la bacheca dove tiene i premi ricevuti nella sua breve, straordinaria carriera. Congratulazioni!”

Il caso Malek

Discorso più complesso merita, invece, la vittoria a mani basse di Rami Malek che, con la sua interpretazione (magistrale?) di Freddie Mercury nella pellicola “Bohemian Rhapsody” ha sbaragliato una concorrenza spietata composta, tra gli altri, da Bradley Cooper e da un Christian Bale super favorito grazie anche alla sua impressionante trasformazione fisica per entrare nel cast di “Vice“. Visibilmente emozionato, Malek ha ringraziato tutti con un discorso più consono ad un concerto di Emma Marrone che ad una kermesse cinematografica così importante: “Abbiamo fatto un film su un omosessuale, immigrato, che ha vissuto impudentemente, e il fatto che questa sera stiamo festeggiando lui e la sua vita è la prova che abbiamo bisogno di storie come questa” ha sentenziato, impietoso, l’attore, che non ha mancato di ringraziare la sua famiglia, tenendo però a rimarcare le origini egiziane di quest’ultima.
Sconcerto, fastidio e critiche non sono mancate alla star (divenuta famosa grazie alla serie TV “Mister Robot”) colpevole, secondo numerosi internauti, di essere stato baciato della fortuna dato che la sua interpretazione su schermo del leader dei Quenn continua ancora a dividere pubblico pagante e critica.

Spike Lee furioso

In questo tripudio di buonismo e di propaganda anti-Trump ha striduto come le unghie sulla lavagna il fastidio, neanche troppo celato, di Spike Lee, premiato per la prima volta con un Oscar come concorrente (il suo “BlackKklansman” ha ottenuto il riconoscimento come Miglior Sceneggiatura Non Originale). Il suo è stato un discorso imperniato di politica ed impegno civile, nel corso del quale invita la platea presente alla cerimonia di fare la cosa giusta, ricordando un anniversario piuttosto duro da mandare giù. “La parola di oggi è “ironia“. La data, il 24. Il mese, febbraio, che è anche il mese più corto dell’anno, che è anche il mese della storia nera. L’anno 2019. L’anno 1619. Storia. La sua storia. 1619. 2019. 400 anni. Quattrocento anni. I nostri antenati furono rubati dalla madre Africa e comprati a Jamestown, in Virginia, ridotti in schiavitù (…). Prima del mondo, stasera voglio ringraziare i nostri antenati che hanno costruito questo Paese. Le elezioni presidenziali 2020 sono dietro l’angolo. Mobilitiamoci tutti. Siamo tutti sulla parte giusta della storia”.
La reazione più dura il noto regista l’ha riservata, però, al momento della consegna dell’Oscar come Miglior Film a “Green Book”. Mentre il cast della pellicola saliva a ritirare il premio, infatti, pare che Lee fosse così contrariato da voler lasciare addirittura la sala. Nel backstage, poi, il regista non avrebbe risparmiato una frecciata agli avversari e colleghi: “Sono particolarmente sfigato. Ogni volta che qualcuno guida un’automobile, io perdo – ha ammesso, riportando alla mente quando, nel 1990, un altro road movie tolse al regista afroamericano la possibilità di portare a casa l’ambita statuetta con “Fa la cosa giusta” – Credevo di essere al Madison Square Garden con gli arbitri a fare una “chiamata” sbagliata. Sembrava uno scherzo“. Con buona pace del melenso “politically correct” andato in scena a Los Angeles.

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