La mia riflessione parte oggi dall’osservare, anche nel corso di futili conversazioni, il domandarsi con sempre più frequenza perché la Storia sia sparita dai programmi scolastici, fino a non discuterne negli incontri dialettici culturali che si possono vivere nei salotti buoni di una delle qualsiasi città di questa nostra bistrattata Nazione. Una prima risposta che sono riuscito a darmi è che probabilmente siamo ormai inesorabilmente schiavi di un presente dominato da un’esistenza che, a misurarla in percentuale, risulta immersa prevalentemente sul Web.
Siamo quindi, per una personale dedotta convinzione, “prigionieri del presente” e del web. La storia è sparita da questa Italia che annaspa ormai in un terrificante vuoto mentale che porta inesorabilmente al disgusto di ciò che sono le nostre origini. Eppure, noi italiani eravamo in un tempo neanche tanto lontano portati ad appassionarci a fatti storici che coinvolgevano molte più persone di diverso ceto sociale, sempre attenti e coinvolti da un “ciò che eravamo” inteso come frutto di quello che siamo ora. Non posso che notare e rilevare come la storia sia ormai stata sostituita dal moralismo; ecco perché a scuola ha sempre meno spazio, ghettizzata in circuiti ristretti, e il giudizio tocca ormai solo ai tribunali che arrivano ad essere il più delle volte indecenti nell’esercizio della loro funzione.
Le cause, secondo me? L’americanizzazione delle scuole come negazione della nostra storia, gli anni ‘70 rivisti come se fossero un passato scomodo da cui liberarsi. Il risultato? Far nascere una generazione geneticamente modificata. Quella storia è oggi prevalente nelle scuole italiane, perché molti docenti sono osservanti del politicamente corretto riducendola spesso solo ad una descrizione ormai stucchevole dell’Olocausto e semplificando fino all’osso i nostri ricordi in parole come “Male Assoluto” e “crudeltà” composte di una presente cronaca spicciola, tecnologia o, peggio ancora, di meri insensati numeri economici politici che ci dovrebbero imporre la via da seguire perfino in politica.
Credo che la responsabilità maggiore di tutto ciò sia da imputare alla “storiografia ufficiale“, che respinge con vigore ogni tentativo di descrivere ciò che i nostri avi hanno vissuto, tentativo compiuto da tanti illustri storici ideologicamente liberi. Volevano riscrivere il tutto partendo dalla guerra partigiana, gli eccidi del dopoguerra e la conquista del Sud, finendo sul più assordante silenzio che copriva fino a pochi anni fa l’eccidio delle foibe, perpetrato da quei regimi d’oltre cortina comunemente descritti come amici del popolo. Credo che la storia, per essere credibile, dev’essere semplice arte imparziale della narrazione.
Quindi sostengo fermamente che sia indiscutibile che un popolo che disconosce la sua storia sia un popolo senza futuro, perché sapere chi siamo e da dove veniamo è anche l’indicazione per non sbagliare strada verso un futuro forte di orgoglio di appartenenza e identità politico-culturale, che sono poi i nostri gioielli di famiglia invidiati da sempre da molti altri popoli. Quindi fermiamo chi, tramite un “cancellino”, ci somministra una sorta di narcotizzante ideologico come in questi politicamente disgustosi ultimi decenni, prima che i nostri figli in questa società sempre più multietnica finiscano col non sapere cosa significa essere Italiani.

Gattuso Maurizio Domenico