C’erano una volta i classici telefilm per adolescenti, che trattavano problemi esistenziali per i ragazzi nel limbo tra l’età dell’innocenza e la maturità senza però scavare eccessivamente nel torbido. Ricordate il linguaggio eccessivamente aulico e i discorsi densi di retorica di Dawson Leery, classica rappresentazione del carino ma “sfigato” della compagnia? E la simpatia di Screech, il “ranocchio” simpatico di “Bayside School“? Alzi la mano, infine, chi non ha riso a crepapelle assistendo ai leggendari battibecchi tra il “principe di Bel Air” e il suo altrettanto iconico cugino Carlton!
Altri tempi, quelli. Oggi i teen-drama (show che vedono protagonisti ragazzi in età puberale ma che non sono esattamente indirizzati ad un pubblico così giovane) sono diventati contenitori di realtà rappresentata nella sua più cruda versione, senza censure nemmeno su tematiche delicate come droga, sesso, discriminazione. Si tratta di prodotti controversi, spesso contestati dalle associazioni dei genitori, dai critici televisivi, persino da una buona fetta di addetti ai lavori; paradossalmente, però, sono proprio questi i prodotti cult per le nuove generazioni, che si identificano nei protagonisti di queste vicende ben poco lontane dalla loro realtà e, purtroppo, talvolta ne emulano le gesta.
Così, se negli anni Novanta le reti generaliste e non solo avevano tra le mani la “patata bollente” proveniente dal Sol Levante (gli anime, i cartoni animati giapponesi ancora oggi vittime di censure a dir poco scandalose), le emittenti dell’era 2.0 non solo non hanno voglia di mettere eccessivi veti su argomenti spinosi ma, anzi, fanno sulle serie che mettono al centro tali temi una massiccia promozione, scatenando una curiosità morbosa che, a sua volta, genera ascolti stellari.
Dopo Netflix – che con la sua “Tredici” ha sollevato un tale polverone da essere stata costretta a ridimensionare lo show per tentare di arginare la sempre crescente piaga dei suicidi tra i suoi giovanissimi spettatori negli USA – adesso tocca ad HBO sconvolgere le masse con una serie choc in arrivo dal 26 settembre in seconda serata su Sky Atlantic. Ha debuttato in patria lo scorso 16 giugno “Euphoria“, una delle miniserie evento del palinsesto 2019 (già rinnovata per una seconda stagione) che vede protagonista la “stellina” della nuova saga cinematografica dedicata a Spiderman, Zendaya.
Al fianco della ragazza – che impersonerà Rue Bennett, adolescente problematica alle prese con la lotta alla tossicodipendenza – troviamo un cast composto perlopiù da giovani, come Angus Cloud, Storm Reid, Maude Apatow e la modella ed “it girl” transgender Hunter Schafer. “Euphoria” è un remake dell’omonima miniserie israeliana del 2012 creata da Ron Leshem, Daphna Levin e Tmira Yardeni, riveduta e corretta in salsa statunitense da Sam Levinson e prodotta, tra gli altri, anche dal noto cantante e rapper Drake.
L’opera promette di scatenare forti polemiche anche in Italia, soprattutto a seguito delle numerose notizie riportate da tabloid e siti americani, che hanno inneggiato all’opera di Levinson, non senza però porre qualche importante obiezione. La rappresentazione quasi cool degli eccessi e delle trasgressioni dei giovani protagonisti di “Euphoria” ha fatto letteralmente storcere il naso a parte del pubblico (adulto) dello show HBO, rimasto basito di fronte all’eccessiva messa in scena del sesso (le otto puntate della serie promettono di portare su piccolo schermo nudi frontali da far impallidire un professore di anatomia), della violenza, dell’uso spropositato di alcol e droghe. Poco importa allo “stivale duro” dei sensibili di stomaco che queste cose accadano realmente ai giovani d’oggi: del resto, la televisione non ha forse il ruolo di educare i ragazzi, seppur attraverso l’edulcorazione della realtà? La domanda, forse destinata a rimanere senza una risposta universale, potrà essere posticipata al prossimo 26 settembre.