Tutto da rifare per una vicenda giudiziaria “Gravissima, quasi disumana“. E’ proprio “disumano” l’aggettivo più calzante per raccontare una delle pagine di cronaca nera italiana più dolorosa degli ultimi tempi. Sono trascorsi quasi cinque anni da quando il giovane Marco Vannini trovò la morte in quel di Ladispoli (Roma), sotto il tetto di quella che si sarebbe dovuta ritenere la sua seconda famiglia. Si sentiva al sicuro il povero Marco al fianco di quella famiglia Ciontoli che con i suoi ritardi, le sue omissioni, i suoi atteggiamenti al limite del delittuoso ha tenuto letteralmente in mano il cuore del ragazzo, decretando con i propri comportamenti la fine prematura del figlio di Valerio e Marina Vannini, genitori coraggio che non hanno mai smesso di combattere per ottenere quell’agognata giustizia che il loro unico figlio merita.

Sentenza ribaltata

Il caso Vannini ha tenuto banco tra le aule giudiziarie e le arene televisive. Da “Chi l’ha visto?” a “Le Iene“, passando per la controversa intervista rilasciata da Antonio Ciontoli a Franca Leosini nel corso di “Storie Maledette“, la giovane vittima non è riuscita a trovare la pace che solo una giusta sentenza potrebbe fornirgli. La famiglia Vannini è stata circondata dall’affetto e dalla solidarietà di un intero Paese che, accompagnato dall’ideologico slogan #Noninmionome, ha riempito le piazze dello Stivale sfilando in civili e silenziosi cortei, chiedendo giustizia per Marco. Un abbraccio ideale che non è mancato nelle scorse ore, quando il Procuratore Generale Elisabetta Cennicola ha chiesto ai giudici della Corte di Cassazione di riaprire il processo Vannini, che vede come unico e principale imputato il capofamiglia di casa Ciontoli. “Tutti gli imputati per 110 minuti hanno mantenuto condotte omissive, menzognere e reticenti di fronte agli operatori sanitari” ha spiegato il Pg Cennicola sottolineando come questa condotta criminosa abbia successivamente portato alla tragica conseguenza della morte di Marco Vannini.
Ciontoli ha agito e ha avuto l’adesione di tutti per evitare conseguenze per lui dannose dal punto di vista lavorativo – sottolinea Cennicola – Vannini non è morto per il colpo d’arma da fuoco, ma per il ritardo di 110 minuti nei soccorsi. La situazione era sotto gli occhi di tutti gli imputati, in maniera ingravescente di minuto in minuto – ha incalzato il magistrato, che ha paragonato l’atteggiamento egoistico di Ciontoli e della sua famiglia a quello di un dinamitardo: – Chi mette una bomba su un aereo può prevedere un’esplosione e in questo caso, man mano che passava il tempo, il proiettile si trasformava in una bomba“.

Pene irrisorie

La Pg ha rincarato la dose, sottolineando a più riprese la disumanità di tale vicenda giudiziaria. “Viene contestato un reato di omicidio all’interno di mura domestiche. Marco era in casa della sua fidanzata, era il fidanzato di Martina Ciontoli e come tale doveva essere trattato“. Elisabetta Cennicola ha infine proposto la celebrazione di un nuovo processo che veda l’intera famiglia Ciontoli imputata per omicidio volontario. Una svolta, questa, attesa ed acclamata da buona parte dell’opinione pubblica e da tutti coloro che hanno conosciuto e veramente amato Marco Vannini e la sua famiglia. La sentenza di secondo grado aveva, in effetti, condannato Antonio Ciontoli ad una pena a dir poco ridicola per omicidio colposo: la vita del giovane Vannini valeva, infatti, appena cinque anni di reclusione (che i legali del Ciontoli puntano a ridurre ulteriormente), mentre i due figli e la moglie dell’imputato erano stati condannati ad appena tre anni (la fidanzata di Federico Ciontoli, Viola, presente la sera del delitto, fu addirittura più fortunata avendo conquistato un’assoluzione completa).
Soddisfatti da questa svolta Marina e Valerio Vannini, che hanno ringraziato quello che i genitori della vittima chiamano affettuosamente “l’esercito di Marco“. “Oggi qui c’è l’esercito di Marco che ci ha sostenuto in questi anni: familiari, amici e tanta gente che ha scelto di essere con noi, c’è anche chi arriva dall’estero. Ringrazio tutti quelli che sono qui accanto a noi in questa giornata – ha dichiarato mamma Marina – Gli imputati se hanno una coscienza dovranno pensare a quello che hanno fatto. Mio figlio si poteva salvare“. L’ultima parola spetta ora alla Suprema Corte che, se accoglierà le richieste del Pg, potrà riscrivere la storia giudiziaria delle famiglie Vannini e Ciontoli, donando al giovane Marco e ai suoi cari una giustizia sino ad oggi negata.