D’Annunzio (col bastone) attorniato dai legionari di Fiume

In questo “caldo” settembre politico italiano in pochi si sono accorti, o lo hanno fatto solo per polemizzare, che lo scorso 12 settembre cadeva il centenario della cosiddetta “Presa di Fiume“, condotta dal poeta e scrittore Gabriele D’annunzio e dal suo esercito personale di circa 2.000 volontari proprio in quel giorno del 1919. Ma entrando nei dettagli, cosa ha effettivamente significato Fiume nella storia del Novecento italiano? Fu un piccolo episodio di poco conto oppure ha avuto il suo effettivo peso storico e sociale? E D’annunzio era davvero spinto da ideali politico-ideologici o era semplicemente un artista che aveva sognato troppo in grande? La prima verità che balza subito agli occhi è che di questa vicenda gli storici e la scuola se ne sono sempre occupati troppo poco, ed ancor meno della figura del Vate come Comandante. Ma qualcuno, in queste settimane, ha cercato di approfondire meglio l’episodio che, nel bene e nel male, ha in realtà anticipato diversi aspetti della successiva politica italiana. Tra questi, il movimento Nfp e il centro studi “Tradizione Partecipazione” di Reggio Calabria, che al club reggino “Garrison” hanno organizzato ieri un convegno/dibattito attorno al documentario “D’Annunzio a Fiume – L’estetica del Disobbedisco“, tratto dal programma Rai “La Storia siamo noi” di Gianni Minoli.

Il contesto storico

Nel 1919, con l’Europa ancora fumante a seguito dell’appena conclusa Prima Guerra Mondiale, l’Italia, guidata d’allora governo Nitti, ottiene “una vittoria mutilata” (come fu definita dallo stesso D’Annunzio) che non le aveva permesso di annettere quei territori dell’Istria e della Dalmazia a maggioranza italiana, assegnati invece alla neonata Jugoslavia; tra queste, la città libera di Fiume (oggi Rijeka, in Croazia), i cui cittadini chiedevano a gran voce l’annessione al Regno d’Italia e per protesta avevano scelto altre sì l’autodeterminazione. Da parte sua, la Jugoslavia non aveva nessuna intenzione di rinunciare ad un porto così importante sull’Adriatico com’era (e com’è) Fiume, adducendo a pretesto la popolazione a maggioranza croata in alcuni quartieri della città e nelle campagne circostanti.
Di fronte ai tentennamenti del presidente del Consiglio, subito rinominato “Cagoia” dal Vate (erano i bei tempi in cui anche la volgarità trovava la sua sublimazione poetica!), D’Annunzio, ultracinquantenne, si pose alla testa di una nutrita schiera eterogenea di legionari (cioè alcuni reparti ribelli dell’Esercito Regio), arditi, nazionalisti e persino anarchici o comunisti muovendosi alla volta della città istriana ed entrandovi il 12 settembre, accolto dalla popolazione italiana come un liberatore. Iniziò così quella famosa “Reggenza del Carnaro” che durò due anni e che ebbe termine con il famigerato “Natale di sangue” 1920 per opera dell’esercito italiano.
Ma quel biennio fu un periodo di grandi innovazioni sociali e culturali, libertà estrema ma anche di diritti civili, esaltazione del lavoro e di una nuova coscienza popolare, che avranno il loro culmine nell’elaborazione di una costituzione in netto anticipo sui tempi, quella “Carta del Carnaro” di cui parleremo più avanti.
“Sulle vicende storiche come Fiume i doveri più importanti sono la documentazione e la formazione, altrimenti non si sa per cosa si combatte – ha dichiarato Nicola Malaspina di “Tradizione Partecipazione” – il ricordo dell’Impresa è un fatto storico su cui ci vorrebbero anni ed anni di studio per comprendere appieno il significato del gesto di D’Annunzio. Il suo esercito era composto da individui provenienti da ogni ambiente ed ogni ideologia, ma a Fiume giunsero addirittura noti artisti ed intellettuali dell’epoca come il futurista Filippo Tommaso Marinetti, il grande musicista Arturo Toscanini e lo scrittore Giovanni Comisso, per non parlare di uno dei protagonisti attivi dell’impresa, l’eccentrico aviatore italo svizzero Guido Keller, autore della celebre azione goliardica del pitale (e del relativo contenuto) gettato in volo dal suo aeroplano su Montecitorio, amante del naturismo e della vita libertaria gaudente, quasi un precursore del ’68. Ma Fiume non fu solo il sogno utopistico di una rinnovata libertà dei sensi e del divertimento – ha proseguito Malaspina – ma fu ineccepibile anche dal punto di vista politico, sebbene D’Annunzio non fosse uno statista, ma più un artista dotato di una straordinaria immaginazione e desideroso che arte, politica e società confluissero in un’unica “fede popolare” viva e forte, una religiosità “laica” basata sul senso dello Stato e il culto della Nazione, vera fonte artistica e intellettuale dell’allora embrionale fascismo. Innanzitutto, Fiume si presentava come un “faro” di tutti quei popoli che si sentivano in qualche modo oppressi (ed i cui rappresentanti affluirono in massa nella città) in opposizione alla falsa politica pacifista della Società delle Nazioni (l’ONU dell’epoca). Ma il risultato migliore fu la stesura della “Carta del Carnaro”, elaborata da un fine sindacalista come Alceste De Ambris“.

La Carta del Carnaro

La costituzione della reggenza, come detto prima, fu un atto formativo in netto anticipo non solo su quei tempi, ma per certi versi persino sui nostri: essa garantiva la piena libertà individuale del cittadino, democrazia diretta, parità di diritti tra gli uomini e le donne, sovranità piena al popolo senza alcuna distinzione di sesso, cultura, razza o religione, tolleranza verso l’omosessualità (che sconvolse l’allora società benpensante e che contribuì a generare quei luoghi comuni negativi che gettano ancora purtroppo una luce sinistra sull’impresa), centralità del lavoro produttivo, salario minimo per tutti, diritto alla casa e difesa della proprietà. E tutto questo fu concepito nei primi anni Venti, non nel XXI secolo! Come si può dunque vedere, Fiume fu un fenomeno molto più complesso di quello che la storiografia ufficiale ci ha sempre raccontato; se vogliamo, possiamo sostenere che fu una sorta di “laboratorio politico” che teneva in gran conto le immense trasformazioni socio-culturali che la Grande Guerra aveva comportato, in primis la nascita della cultura di massa e l’irradiamento della coscienza politica a tutti gli strati sociali della popolazione.

Il rapporto con il fascismo

Ultima, ma non ultima, la questione della diretta correlazione tra la presa e il fascismo: è indubbio che il neonato movimento politico, elaborato quasi in contemporanea a Fiume da Benito Mussolini, non solo trasse ispirazione, ma pescò a piene mani dall’immaginario artistico ed intellettuale sorto in terra fiumana, come molti slogan, la linea di pensiero, la spiritualità patriottica, i riti sociali e la retorica, ma anche lo stile oratorio e le posture assunte da D’Annunzio nei suoi discorsi, che furono riprese pari pari dal Duce per le adunate. Sul versante prettamente politico, il fascismo appoggiò sin da subito l’Impresa per l’oltranzismo e la forza spirituale che essa emanava in contrapposizione all’allora debole governo italiano (che tra l’altro si ritrovò a gestire una profonda crisi internazionale ed istituzionale a causa del’Impresa dannunziana); anche se buona parte dell’ideologia fascista fu farina del sacco di Mussolini, inoltre, essa mutuò comunque quel concetto di nuova coscienza popolare basata sulla forza aggregante e sulla fede nello Stato e nel culto della Patria, ma ne estrapolò ed elaborò anche alcuni concetti più di “sinistra“, come la centralità del lavoro o il sindacalismo rivoluzionario. A qualcuno potrà sembrare assurdo, eppure fu così.