Si fa presto a parlare di “inclusione“. Un vocabolo, questo, divenuto di tendenza soprattutto nell’ultimo periodo, ma troppo spesso utilizzato solo ed esclusivamente per riempirsi la bocca di buoni propositi non sempre seguiti, però, da azioni concrete.
Accade così che, tra una sterile polemica ed inni all’uguaglianza caduti miseramente a vuoto, la cronaca ci riporti con i piedi per terra raccontandoci un gravissimo episodio di discriminazione ai danni di un gruppo di giovani affetti da sindrome di Down accaduto a ridosso delle festività natalizie.

Nausea

Il gravissimo caso di discriminazione ai danni di questo gruppo di giovani è stato registrato a Filadelfia, località in provincia di Vibo Valentia, il 23 dicembre scorso. I ragazzi, appartenenti al “Club dei Ragazzi di Filadelfia” (gruppo che si occupa di sostenere questi giovani in un percorso quotidiano di educazione all’autonomia), stavano allegramente cenando in un locale del paese mentre aspettavano di assistere, ironia della sorte, ad una puntata dell’acclamatissima fiction Rai “Ognuno è perfetto“, incentrata proprio su chi è affetto dalla stessa patologia. In un tavolo poco lontano da quello dei simpatici commensali, i due accompagnatori assieme ad un genitore.
A poca distanza dal tavolo del gruppetto sedeva anche una famiglia, presumibilmente turisti provenienti da fuori, che non ha esitato nemmeno un istante ad apostrofare pesantemente la comitiva di ragazzi down, come raccontato proprio da Francesco Conidi, responsabile del “Club dei Ragazzi di Filadelfia”, in un lungo appello indirizzato alla pagina Facebook VorreiPrendereIlTreno. “La famiglia – spiega un amareggiato Conidi – ha posto in essere una rumorosa protesta, sostenendo di avere nausea alla vista dei ragazzi, di “comprendere la malattia degli stessi, ma di non poter cenare accanto a loro” e rivendicando il fatto che “a Roma certe cose non accadono“. Non parca di tale atteggiamento, il nucleo familiare si è poi scagliato all’indirizzo degli accompagnatori, rei di averli avvicinati chiedendo spiegazioni. In cambio, sono arrivati solo insulti e l’abbandono del locale da parte di questa “brava gente”.

Un problema di educazione

Unanime è arrivata la condanna del Sindaco di Filadelfia, degli abitanti della località e degli internauti che, appresa la notizia da stampa e web, hanno letteralmente intasato le bacheche social manifestando il proprio disgusto e il biasimo nei riguardi di un episodio che definire squallido è davvero poco. Eppure, la domanda resta: dov’è finito il vero senso della parola “inclusione”? In un periodo davvero cruciale per la storia dell’umanità, contrassegnato da un melting pot continuo di etnie e di culture, da una guerra intestina tra diverse religioni, dalla mai sopita distinzione tra bianco e nero, siamo costretti a dover raccontare ancora di emarginazione del “diverso”, con buona pace di istituzioni ufficiali di giornate a loro dedicate (la Giornata Mondiale della sindrome di Down viene celebrata il 21 marzo), di campagne di sensibilizzazione perpetrate utilizzando ogni media possibile ed inimmaginabile, di testimonial celebri prestati a favore di una causa tanto nobile quanto, purtroppo, spesso inutile.
Si tratta, in realtà, di un problema di educazione, come espresso da una giovane alla lettura di uno dei tanti articoli circolati per la rete e condivisi tramite social network. “Bell’esempio che ha dato la famiglia! Avrei compreso se si fosse trattato di stupidi ragazzini, ma sentire che tali umiliazioni provengano da una famiglia intera proprio no“. Deve provenire proprio dal nucleo familiare il primo esempio di amore, tolleranza, senso civico. E’ inutile puntare il dito contro gli smartphone, la scuola, le amicizie deviate se sono poi i genitori i primi responsabili di un vuoto intellettivo ed emotivo registrato quotidianamente dai nostri ragazzi.

Basta ipocrisie

Un buco emotivo che si fa ancora più scuro e profondo in un periodo, come quello natalizio, durante il quale clero e politica invitano a porgere una mano verso le persone che hanno davvero bisogno, salvo poi non dare essi stessi per primi il buon esempio e che provoca, questo sì, una nausea dalla quale è impossibile riprendersi. E’ superfluo ripetere che questi ragazzi, “rei” di aver voluto mangiare una pizza in compagnia seguendo la loro serie TV preferita, hanno una marcia in più rispetto ai “normodotati“, che sono “speciali“, che sono capaci di compiere operazioni semplici e complesse come e meglio degli altri. E’ inutile battere i piedi parlando di integrazione nei confronti di migranti, di diversamente abili e di qualsivoglia categoria “protetta” che invece la maggior parte di noi ritiene “minorata”. Sarebbe ora di liberarci da questa nausea provocata da un’ignoranza dilagante, dalla paura di ciò che non comprendiamo appieno, da questo falso senso di superiorità che nasconde, invece, una profonda insicurezza. Il miglior proposito da portare con sé in questo 2020 oramai alle porte dovrebbe essere quello di aprire la mente ed il cuore alle mille sfaccettature offerte della vita, abbracciando il diverso, senza falsi perbenismi ed ipocrisie: solo così questa odiosa nausea scomparirà.