Fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce“, sosteneva Lao Tzu. Ebbene, mai massima fu più calzante per raccontare il clamoroso caso scoppiato ad ormai meno di una settimana dal fischio di inizio di Sanremo 2020, la prima – e, forse, ultima – edizione della kermesse canora targata Amadeus. Il conduttore ha camminato su un vero e proprio terreno minato, come ogni Direttore Artistico che decida di prendersi l’intera responsabilità di mandare avanti un “baraccone” che macina non solo soldi e consensi, ma anche inevitabili polemiche.
Accade così che, mentre la popolazione era intenta a discutere sulle presunte “derive sovraniste” di Anastasio e Rita Pavone (viene da chiedersi perché non si manifesti medesima stizza di fronte ad artisti come Afterhours e Subsonica che dispensano come caramelle concerti pro-sardine, rigorosamente gratis; per il resto dei fan non avvezzi al movimento c’è invece da pagare il biglietto), una buona fetta di fruitori di musica abbia sollevato un polverone sì tardivo, ma ben più pericoloso, specialmente per le nuove generazioni i cui “idoli” musicali bazzicano soprattutto tra indie italiano e trap – un genere, quest’ultimo, mai scevro da critiche feroci.
Tra i Big in gara a Sanremo 2020 figura un “certo” Junior Cally, beniamino delle nuove generazioni, le cui rime rap strizzano l’occhio ad una delle forme di violenza più ignobili esistenti su questa terra: il femminicidio. Il rapper romano – in gara con “No Grazie“, pezzo anti-sovranista ed anti-populista – è balzato agli onori della cronaca per un suo brano passato, il cui testo fa rabbrividire ed ha scatenato ricordi terribili soprattutto in Maria Antonietta Rositani, ricoverata da quasi un anno presso il Policlinico di Bari a causa delle ustioni riportate sul 50 % del corpo causatele dal marito che, incapace di rispettare le scelte di sua moglie, le ha lanciato addosso della benzina appiccandole poi fuoco a Reggio Calabria lo scorso marzo.

Mai una “Gioia”

Il pezzo di Junior Cally, finito del mirino di esponenti politici e non solo, si intitola “Si chiama Gioia“: un vero e proprio inno alla violenza, un racconto vissuto dal punto di vista dell’aggressore (pratica abominevole, già tristemente ravvisata nei testi di Skioffi, attualmente allievo della scuola di “Amici di Maria De Filippi”). “Lei si chiama Gioia, ma beve e poi ingoia. Balla mezza nuda, dopo te la dà. Si chiama Gioia perché fa la t….“: questo l’incipit di un brano che continua raccontando, con dovizia di orridi particolari, il delitto perpetrato ai danni della povera Gioia, rea di chiacchierare troppo, probabilmente. “L’ho ammazzata, le ho strappato la borsa. C’ho rivestito la maschera“.
Nulla di nuovo, in realtà, all’orizzonte musicale di Junior Cally, che annovera nella sua discografia brani che parlano di “Uccidere carabinieri” e di portarsi a letto la povera Giusy Ferreri; tanto è bastato, però, per scatenare un’ondata di comprensibile indignazione di fronte alla partecipazione del rapper capitolino a Sanremo.

Il nuovo Eminem?

Da Red Ronnie a Daniela Santanché, unanime è stata la condanna di rappresentanti dello Stato, di critici musicali, di normali cittadini, alcuni dei quali hanno promosso e avviato sul portale Change.org una raccolta firme per spingere la Rai ad escludere il rapper da Sanremo. Le parole più toccanti sono però proprio quelle di Maria Antonietta Rositani, che nei versi del 28enne ha ravvisato gli stessi impulsi omicidi del marito-orco che ha cercato di toglierle non solo la vita, ma anche la dignità. “Gli aggettivi utilizzati da Cally, così come il ‘ti ammazzo’, li ho sentiti spesso pronunciare dal mio ex marito e mi hanno distrutto dentro prima di essere ridotta da lui nelle mie attuali condizioni fisiche – ha raccontato alla stampa la donna – Sono parole che una donna non dovrebbe mai sentire e che invece chi subisce violenza conosce benissimo“. “Questa vicenda mi ha scosso moltissimo e addolorato – spiega Maria Antonietta – All’inizio pensavo fosse una bufala, che non fosse possibile che un personaggio del genere potesse partecipare al Festival di Sanremo, invece poi ho scoperto che era realtà. Non riuscivo a credere che il palco potesse essere calpestato da uno come lui. Secondo me lasciarglielo fare sarebbe come consentirgli di calpestare una donna. Non sarebbe dovuta proprio passare l’idea di ammettere in gara chi incita al femminicidio“, sostiene la Rositani che, sfiduciata su un’eliminazione in extremis di Junior Cally lo invita, perlomeno, a metterci la faccia, non proteggendosi dietro maschere anti-gas o passamontagna glitterati che caratterizzano il suo personaggio. “Ormai il danno è stato fatto, il rapper il suo scopo lo ha raggiunto, ha fatto parlare di sé, ha fatto sì che anche chi non conoscesse quel tipo di canzoni ne potesse venire a conoscenza – sentenzia la Rositani – L’unica cosa che rimarrebbe da fare è, da parte di noi cittadini che paghiamo il canone Rai, spegnere i televisori o cambiare canale quando lui arriva sul palco dell’Ariston, per far capire a tutti, compresa la Rai, che la maggior parte del Paese sta accanto alle donne che come me soffrono inermi in un letto di ospedale, che hanno subito o che stanno subendo violenza. Che si è contro la violenza (…). Almeno abbia la decenza di presentarsi senza la maschera, quella maschera che come l’ha descritta nella sua canzone è qualcosa di spregevole, realizzata con la pelle della borsa della donna dopo averla uccisa“.
L’affaire Junior Cally ha diviso non solo fan e amanti della musica, ma anche e soprattutto colleghi più o meno blasonati dell’artista, appartenenti alla scena rap e non solo. Se DJ Aniceto ha platealmente condannato la scelta di inserire il romano nella lista di Big sanremesi, J-Ax tenta invece di minimizzare la questione. “Se hai bisogno del rap perché è il genere che tira, poi non ti puoi lamentare“, decreta l’ex Articolo 31 che, come la collega Levante tira in ballo nientemeno che Eminem, super ospite all’Ariston nel 2001. Levante, in particolare, cita le rime taglienti di “Stan“, una delle migliori opere di Marshall Mathers (vero nome di Eminem, n.d.r.), senza però rendersi conto che la storia raccontata nel brano che lo ha visto duettare con Dido è ben altra cosa. Nella canzone del 2000 Eminem racconta del rapporto malato tra un fan ed un artista, un legame malsano che può sfociare in tragedia. Una tematica, in realtà, piuttosto attuale soprattutto scrollando i numerosi post social dedicati alla polemica Junior Cally.
Due giorni fa il giornalista Carmelo Abbate, presenza fissa della trasmissione “Quarto Grado”, ha postato come consuetudine una delle sue avvincenti “Storie Nere” dedicata proprio al rapper Junior Cally. Nel post Abbate racconta l’infanzia del ragazzo, i problemi di salute, le sue frustrazioni. Tanto è bastato per fare incetta di commenti, ma anche di insulti rivolti allo stesso giornalista, reo di aver semplicemente raccontato una storia sconosciuta ai più. La stessa violenza verbale è stata, però, riservata anche ai detrattori “educati” del rapper, apostrofati come “stupidi”, “censori”, “sensibili del c…” ed “ignoranti”, tanto per citare gli epiteti ripetibili. I sostenitori del cosiddetto “horrorcore“(nuovo genere musicale al quale aderirebbe Junior Cally) invocano la libertà di espressione artistica per sostenere la presenza del rapper a Sanremo 2020. Ma fino a che punto tale libertà può essere tollerata, accettata, concessa? Prima di Cally, anche artisti tra i quali il sopracitato Eminem e Marilyn Manson furono vittime e carnefici di loro stessi e delle proprie scelte artistiche, ma con differenze di fondo che non possono essere ignorate.
La verità potrebbe risiedere proprio nelle parole della coraggiosissima Maria Antonietta che, ferita nel corpo e nell’anima, proprio non ci sta a piegarsi alla cultura della violenza come scelta artistica e libera: “Bisognerebbe andare al Festival senza ipocrita buonismo esprimendo liberamente l’arte, ma se la sua arte è quella che ha mostrato finora, a me fa veramente paura“. Appunto.