Lo chef/imprenditore reggino Filippo Cogliandro, titolare del ristorante “L’A Gourmet – L’Accademia” nella città dello Stretto, è da oltre vent’anni attivo nel settore di una ristorazione un po’ “diversa” da quella comunemente conosciuta; un modo inedito di gestire cucina e sala basandosi sull’abbinamento di piatti locali con l’arte, sulla mescolanza tra l’eleganza formale di un quadro e il piacere di trovarsi davanti un tripudio di colori contenuti in un piatto, da gustare con gli occhi prima ancora che con il palato.
Oltre a fornire un buon servizio culinario, “L’A Gourmet” si propone da due decadi come un esempio di imprenditoria aperto ad ogni aspetto sociale del territorio reggino, alla beneficenza, ad ogni tipo di associazione ed alla divulgazione della cultura anti-racket e di una nuova coscienza antimafia. “A Punta di Penna” ha incontrato Cogliandro ed ha avuto una piacevole chiacchierata con lui nell’elegante sala della sua Accademia.

Come sei giunto alla scelta di fare lo chef e occuparti di ristorazione?

Sembrerà strano, ma in gioventù non mi sono mai occupato di ristorazione; a dirla tutta, da ragazzino non sapevo neanche cucinare! Ero però un buongustaio, apprezzavo molto i piatti che cucinavano mia madre e mia nonna oppure i cibi della grande tradizione culinaria reggina se mi trovavo a mangiare fuori. La vocazione di chef-ristoratore arrivò al compimento dei 26 anni, quando mi sono sposato; ho iniziato prima come imprenditore della ristorazione nel 1996 finendo poi per appassionarmi al mestiere dello chef e all’arte culinaria. Assieme ai miei soci creai un ristorante che all’epoca non rientrava ancora nel comune concetto di ristorazione a Reggio Calabria: un ristorante su prenotazione che volemmo dedicare alla figura di Jim Jansen, un noto pittore belga operativo alla corte del re Baldovino, finito a vivere e a lavorare a Lazzaro perché la figlia aveva sposato il mio amico e socio Gaetano Maria Lo Presti. Grazie a Jansen scoprii il mondo artistico e della cultura in generale, iniziai a documentarmi ed a leggere sempre di più cercando al contempo di coniugare, in modo originale, l’arte e la cucina. Tra l’altro, imparai a gestire la cucina di un ristorante grazie ad un caso fortuito: il primo chef del ristorante era sempre il mio amico Gaetano, che fu anche il mio primo maestro ai fornelli, ma non sempre potevamo contare sulla sua disponibilità in quanto cucinava più che altro per passione dato che il suo lavoro vero era quello dell’informatore scientifico. Allora io mi occupavo della sala e delle prenotazioni, accoglievo i clienti e cose di questo genere; un giorno Gaetano dovette assentarsi per alcuni impegni personali allorché dovetti per forzatamente cogliere l’occasione al volo, ma ero avvantaggiato poiché seguivo spesso i suoi movimenti in cucina ed avevo memorizzato tutto quello che occorreva fare, quindi cucinai per un tavolo per due e mi occupai di ogni singolo dettaglio in sala. A fine giornata, ebbi un enorme senso di gratificazione perché gli ospiti erano rimasti molto soddisfatti e dire che era la prima volta che mi occupavo personalmente dei piatti! Infatti, la seconda volta non avvisai neppure Gaetano che c’era da cucinare per due e andai avanti finché lui e i miei amici mi dissero “Filippo, ormai ti sei appassionato, meglio che continui su questa strada” e così seguitai a gestire la cucina e non solo: iniziai anche a sperimentare delle ricette nuove usando solo ed esclusivamente i prodotti locali del reggino e combinando i sapori, anche secondo modalità che potevano sembrare avventate, eppure mi veniva naturale sommare tanti ingredienti che fino ad allora nessuno aveva tentato di mettere insieme. Non vedevo proprio la difficoltà di combinazione, oserei dire che andavo addirittura per deduzione, ma alla fine la tecnica mi prese talmente tanto che mi permise di “addomesticare” le mie competenze, valutandole e migliorandole anche nella forma estetica ed ispirandomi all’eleganza formale dei quadri del già citato Jansen per comporre i piatti: io abbino i colori come lui faceva con le tele e combino diversi ingredienti che non siano solo gustosi, ma anche belli da guardare.

Secondo te, l’uso e la valorizzazione dei prodotti locali possono in qualche modo aiutare la nostra economia regionale ed anche fare pubblicità alla Calabria?

Certamente, e ti dirò di più: io credo che siano proprio i prodotti culinari della Calabria a dare una specifica identità al territorio. Oggi i cibi vengono prodotti e venduti con la precisa indicazione del loro luogo di provenienza, che addirittura a volte diventa il nome stesso del prodotto: ad esempio, dare al caciocavallo di Ciminà (Rc), che di per sé è un formaggio particolare e straordinario, il nome del paese di provenienza è una marcia in più per differenziarlo dagli altri caciocavalli similari prodotti in tutta Italia. Oppure, la tipicità dello zafferanno di Motta San Giovanni ha addirittura permesso la nascita e lo sviluppo di diverse aziende sul suo territorio portando di conseguenza sia occupazione che pubblicità a tutto il comune mottese. E potrei citare anche altri esempi; mettendo insieme tutti questi ingredienti nei miei piatti, io voglio dare quindi un’identità gastronomica all’intero territorio reggino e scopro ogni giorno, con enorme piacere, che anche i miei colleghi si stanno avvicinando ai prodotti locali. Anche l’enogastronomia ha fatto passi da gigante negli ultimissimi anni, infatti anche la valorizzazione dei vini fa parte di questa riscoperta dei sapori locali: nel catalogo dei vini di “L’A Gourmet”, per esempio, abbiamo circa 350 etichette di cui 150 rappresentano proprio Reggio e i comuni della provincia.

Quindi la Calabria potrebbe sviluppare una realtà imprenditoriale che abbia un futuro?

L’imprenditoria deve essere uno dei settori trainanti dello sviluppo economico del territorio; quando si parla di cibo o di vini normalmente si inserisce dentro anche il turismo, quindi si tratta di un impegno a 360 gradi per valorizzare le bellezze paesaggistiche, l’arte e la cultura della nostra Regione, nonché la gastronomia, e permetterebbe certamente alla Provincia di puntare ad un incremento economico non indifferente.

Il successo di “Masterchef” ed altri programmi di cucina può contribuire ad avvicinare i giovani al mestiere?

Questo sviluppo del sistema radiotelevisivo a favore del “food” e della cucina ha ovviamente incrementato negli ultimi anni un forte interesse giovanile per il mestiere dello chef, ma non sempre con buoni risultati: c’è infatti chi si improvvisa maestro dei fornelli in modo un po’ azzardato, ma va riconosciuto che l’intensa creatività di questi show e il vantaggio del mezzo televisivo aiutano a comunicare e dialogare con il pubblico attraverso l’inedito uso “spettacolare” del cibo. In fondo, anche nella storia dell’umanità la tavola imbandita è sempre stata un luogo o un “palcoscenico” per comunicare o discutere progetti di potere che hanno inciso anche sul destino di popoli interi: non dimentichiamo che governanti, re, imperatori e finanche personaggi poco raccomandabili hanno spesso preso le loro decisioni nel bel mezzo di un “rito” conviviale; ben vengano quindi i programmi che esaltano (e risaltano) la cucina creativa in mezzo a questo marasma martellante che è ormai diventato il mezzo televisivo.

Il tuo percorso professionale ha mai incontrato difficoltà in un territorio purtroppo difficile come il nostro?

Beh, tutte le scelte professionali hanno dietro di sé qualche retroscena; per quanto mi riguarda, il mio percorso ha avuto il giusto “lancio” soprattutto grazie all’educazione familiare: mio padre Demetrio si è sempre voluto interessare del territorio e delle dinamiche sociali e, da calabrese che viveva a Reggio, aveva saputo creare una propria dimensione imprenditoriale. Le difficoltà che ha incontrato a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta sono state molte, all’epoca c’era una presenza ndranghetistica molto più violenta rispetto a quella odierna, adesso più mimetizzata in diversi settori economici. Ma la sua perseveranza e la sua tenacia a non piegarsi al volere malavitoso ha permesso a me e ai miei fratelli di capire quello spirito di libertà che contraddistingue il nostro lavoro odierno: non bisogna mai rassegnarsi, dimostrare comunque che le scelte più giuste nascono proprio dal forte desiderio di libertà.

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