Immagini di Valentina Giannettoni

L’analisi e l’interpretazione dello Stato Sociale passano attraverso il ricordo e l’emozione: è ciò che si è verificato ieri all’Oasi Village di Reggio Calabria nel corso del convegno “La sfida al futuro dello Stato Sociale“, organizzato da “Reggio Futura” in collaborazione con il Centro Studi “Tradizione e Partecipazione“, in cui è stata commemorata la figura del sindacalista reggino Antonio Franco, nipote del celebre Ciccio leader dei “Moti di Reggio” 1970. Militante del sindacato CISNAL e poi dell’UGL, consigliere comunale per MSI – DN e AN, candidato a sindaco di Reggio per la coalizione di centrodestra nel 2001, Antonio Franco si distinse particolarmente in diverse battaglie a favore dei diritti dei lavoratori e delle fasce più deboli della popolazione. Al convegno hanno preso parte Giuseppe Agliano, presidente di “Reggio Futura”, Nicola Malaspina, presidente di “Tradizione e Partecipazione”, Giuseppe Bombino, responsabile provinciale di “Cultura Identità”, Beniamino Scarfone e Giuseppe Buscema, autori del libro “Le origini dello Stato Sociale in Italia”, edito da Eurilink.

Una riflessione su Antonio Franco

“Questo è il terzo incontro che organizziamo per ricordare Antonio (scomparso tre anni fa a 55 anni, n.d.r.) – ha esordito Agliano – e vi è sempre una forte emozione nel rammentare un amico, quindi mi permetto un pensiero: sono sicuro che Franco, in tempi come questi, sarebbe stato utilissimo per la cittadinanza e il territorio, arguto ed intelligente com’era, e tante battaglie che porteremo avanti in futuro saranno compiute anche in suo onore. Infine, ammettiamolo: uno Stato Sociale ci vorrebbe anche nella nostra Reggio dove, tanto per fare un esempio, i cittadini pagano tasse molto alte ottenendo in cambio servizi troppo bassi. L’attuale amministrazione sostiene che ciò sia dovuto agli errori di quelli che c’erano prima, ma “quelli” a cui fa riferimento non ci sono più da quasi dieci anni!“.
“Antonio Franco fu inoltre il co-fondatore del nostro centro studi nel 2012 – ha aggiunto Malaspina – per quanto riguarda il libro di Scarfone e Buscema, esso è un volume scritto in modo semplice, non molto tecnico nonostante l’ottima preparazione dei suoi autori, che parte dalla storia dello Stato Sociale in Italia per arrivare a riflettere su una sua possibile attuazione, adeguata ai tempi, nella società odierna. In sostanza, fu una forma di giustizia sociale per salvaguardare i lavoratori dai dettami dell’economia mondiale, che proprio allora aveva iniziato a dominare sempre più la finanza e la politica”.

Interpretazione dello Stato Sociale

“Quanto esiste oggi in termini di diritti e previdenza può ancora essere messo in discussione – ha dichiarato Buscema – l’attuale equilibrio sociale basato sull’alternanza capitale/lavoro fu sdoganato e codificato dalla Rivoluzione Francese per poi iniziare a sgretolarsi nel corso di quella Industriale, creando diversi problemi come lo sfruttamento delle masse di lavoratori, le questioni sugli orari e gli stipendi equi oppure la vergogna del lavoro minorile in fabbrica. Da qui si iniziò a formulare il concetto di “stato sociale”, che in quanto tale fu introdotto a partire degli anni Venti, con tutti gli annessi e connessi”. “Nel nostro volume riprendiamo il concetto base dello Stato Sociale: lavoro – diritto – dovere – ha detto Scarfone – ma ormai un assioma del genere è praticamente scomparso dal gergo sindacale e politico; anzi, quello attuale è semplicemente diritti – diritti – diritti, come sostenuto da troppi decenni da diverse frange sindacali. Durante il Ventennio Fascista, lo Stato si pose l’annosa questione del salario proporzionale concepito non solo sull’ovvia necessità della busta paga per il lavoratore, ma anche sui relativi bisogni del suo intero nucleo familiare. Insomma, una concezione del lavoro tutelato in tutto, anche nella dignità professionale e umana dei lavoratori. Possiamo tranquillamente affermare che questa fu una terza via per trovare una pacificazione tra il capitale e il lavoro produttivo.
Ma lo Stato Sociale sarebbe attuabile oggi? E come? Semplicemente, dovrebbe occuparsene la politica di queste tematiche, senza scadere però nella comoda risposta dell’assistenzialismo, ma con fatti concreti”. “Malgrado diversi pregiudizi che permangono tuttora – ha poi concluso Buscema – si deve ammettere che il fascismo perlomeno tentò di superare il conflitto sociale, venutosi a creare all’indomani della Grande Guerra per i motivi più diversi, con una collaborazione tra le parti tramite leggi sindacali adeguate e le note corporazioni, le quali solo da qualche tempo vengono finalmente analizzate nella loro complessità. Ma tutto questo evaporò immediatamente nel dopoguerra, quando ritornarono prepotenti i conflitti sociali; infine, la globalizzazione ed il libero mercato globale hanno poi fatto il resto. Una crisi dello Stato Sociale determinata da questi aspetti ed anche da altri”.
“E’ vero che, per molti decenni, la sinistra interveniva sempre per prima rispetto alla destra nella gestione dei diritti dei lavoratori – ha affermato Bombino – in realtà, la sinistra faceva sempre riferimento al popolo, ma successivamente finiva per astraersene. Quindi, dobbiamo iniziare a vedere la destra non più come la dimensione meramente “muscolare” del popolo, ma come la forza politica in grado di rivitalizzare e gestire davvero il binomio diritto-lavoro. Non siamo per una società innervata da individui single che lavorano più ore al giorno senza una vita sociale, noi siamo per un lavoro che salvaguardi la famiglia ed il senso religioso e spirituale dell’esistenza, nonché della Patria”.