Ci risiamo: nuovo Dpcm, nuove chiusure che, seppur necessarie a contenere il contagio da Covid-19, fanno storcere il naso alle “solite” categorie di lavoratori. Ad ottobre come a marzo, il Premier Giuseppe Conte e il Governo tutto decidono di penalizzare nuovamente, tra gli altri, i lavoratori dello spettacolo: chiusi teatri e cinema, salvo imprevisti, fino al prossimo 24 novembre.

Tra silenzi e provocazioni

Questa volta, però, gli artisti ed i lavoratori di un settore che ha patito maggiormente gli effetti negativi del Coronavirus e del conseguente lockdown imposto lo scorso marzo, non ci stanno. Numerosi i volti noti dello spettacolo che hanno messo in atto una serie di iniziative di diversa natura, alcune delle quali fortemente provocatorie. Destinatari di tale protesta, in particolare, il Premier ed il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo Dario Franceschini, il cui tweet dello scorso 25 ottobre ha scatenato in cantanti, registi, attori e non solo reazioni forti e contrastanti. “Un dolore la chiusura di teatri e cinema. Ma oggi la priorità assoluta è tutelare la vita e la salute di tutti, con ogni misura possibile. Lavoreremo affinché la chiusura sia più breve possibile e, come e più dei mesi passati, sosterremo le imprese e i lavoratori della cultura“, così commentava Franceschini la scelta – inevitabile per una fetta dell’opinione pubblica, scellerata per la sua controparte – di mettere uno stop a spettacoli teatrali, proiezioni in multisale, concerti.
La risposta dei diretti interessati non si è fatta attendere. La protesta degli addetti ai lavori dell’entertainment tricolore ha assunto diverse sfumature, tutte accomunate dalla voglia di far sentire la propria voce e di spingere la nostra classe politica a rivedere le proprie posizioni. Alcuni volti noti del cinema e del teatro hanno così deciso di spegnere i propri account Instagram come forma di protesta. Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Vittoria Puccini, Claudia Gerini sono solo alcuni dei grandi interpreti della Settima Arte italiana che hanno scelto la strada dell’oblio come risposta all’assordante “boicottaggio” messo in atto ai danni del mondo dell’intrattenimento dal Governo Conte. Attori di spessore che hanno abbracciato l’appello reso pubblico da UNITA, l’Unione Nazionale degli Interpreti dell’Audiovisivo, Teatri e Spettacoli dal Vivo: “Non siamo tempo libero. Siamo lavoro e molto più“.
Lo stesso appello è stato condiviso sui propri account social da Tiziano Ferro, che ha invitato i rappresentanti politici italiani ad incontrare i lavoratori del settore e di ascoltare le loro proposte costruttive per evitare il collasso di una categoria quasi dimenticata dal Governo. Ha invitato i colleghi a darsi da fare anche il rapper Fedez (già chiamato in causa da Conte assieme alla sua consorte Chiara Ferragni per invitare i più giovani ad usare la mascherina): “Libertà è partecipazione, diceva il maestro Gaber, quindi è ora di alzare il c… e di darsi da fare“.
Decisamente più provocatorio è stato lo sfogo del cantante Simone Cristicchi, che ha sottolineato in una recente intervista tutto il controsenso del Dpcm dello scorso 26 ottobre. “Io sono abbastanza deluso da questa ultima decisione. Perché, insomma, il teatro ha dimostrato di essere un luogo sicuro in questi mesi – ha chiosato il cantante – A teatro non si parla, si ascolta, si sta zitti. Non si canta come a messa. In realtà trovo veramente che sia un accanimento. La cultura come l’ultima ruota del carro“, ammette amareggiato Cristicchi, che propone di “Fare teatro in salotto con massimo cinque spettatori distanziati e con la mascherina. Oppure tutti in chiesa, visto che le chiese sono immuni rispetto ai teatri. Anzi, noi artisti e il pubblico teatrale chiediamo aiuto al Vaticano. Perché ci facciano fare gli spettacoli dentro chiese, cattedrali, monasteri, conventi. Più gli spazi sono grandi e meglio è. Ovviamente è una provocazione, però perché no?“.

La lettera di Muti, la risposta di Conte

Ultimo, ma non certo per importanza, è arrivato l’accorato appello del Direttore d’Orchestra Riccardo Muti che, con una lettera aperta pubblicata sul Corriere della Sera, ha espresso nei giorni scorsi tutta la sua preoccupazione legata alla scelta di penalizzare, ancora una volta, il comparto teatrale e spettacolare in generale.

Egregio Presidente Conte, pur comprendendo la sua difficile responsabilità in questo lungo e tragico periodo per il nostro Paese, con la necessità improrogabile di salvaguardare la salute, bene supremo, dei nostri concittadini, sento il bisogno di rivolgerLe un appello accorato. Chiudere le sale da concerto e i teatri è decisione grave. L’impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo – ha scritto Muti – tale decisione non tiene in considerazione i sacrifici, le sofferenze e le responsabilità di fronte alla società civile di migliaia di Artisti e Lavoratori di tutti i vari settori dello spettacolo, che certamente oggi si sentono offesi nella loro dignità professionale e pieni di apprensione per il futuro della loro vita“.

Parole sentite e cariche di sofferenza, alle quali il Premier Conte in persona ha deciso di rispondere con altrettanto pathos, sempre sulle pagine del Corriere. “Gentile Maestro Muti – scrive Giuseppe Conterispondo al Suo accorato appello, pubblicato ieri sulle pagine di questo Giornale, e ne approfitto per condividere con Lei e con i lettori alcune considerazioni. Le Sue riflessioni mi toccano profondamente, e non credo abbiano lasciato indifferenti i lettori. Lei ha ragione: la decisione di chiudere le sale da concerto e i teatri è oggettivamente “grave”, ma proprio perché grave è stata una decisione particolarmente sofferta – sostiene Conte, che però rivendica la validità della scelta effettuata dal Governo – l’obiettivo primario deve essere adesso recuperare il controllo della curva epidemiologica ed evitare che la sua continua ascesa possa compromettere l’efficienza del nostro sistema sanitario e, con esso, la tenuta dell’intero sistema sociale ed economico“. Un botta e risposta doloroso, ma che sarà destinato a lasciare strascichi altrettanto forti che non acquieteranno di certo gli animi “infiammati” degli artisti, degli addetti ai lavori, dei produttori che hanno reso un intero settore grande nel mondo: guai a chiamarlo solo “svago“.