Nessun’altra comunità, nessun altro popolo sopporterebbe in silenzio tutto il degrado e i disservizi che in questi sei lunghi e tristi anni ha subito la cittadinanza reggina. Il grado di assuefazione al peggio ha raggiunto vette impensabili per una società civile occidentale. Scenari post bombardamenti, scorci da terzo mondo, ormai nemmeno impressionano più. E non si tratta solo delle migliaia di micro discariche sparse agli angoli delle strade e sui marciapiedi, con buona pace di chi porta con sè disagi e disabilità; ma di intere aree di abbandono, di pericolosissime voragini persino in pieno centro, di anarchia sulle strade, di azzeramento dei diritti civili anche elementari, per una società che ha smarrito ogni forma di ribellione. Se un Sindaco che ha ridotto in queste condizioni misere la nostra Reggio viene persino rivotato, significa che logiche perverse e senso di disaffezione pervadono la società reggina e non soltanto dentro i salotti elitari, dietro le scrivanie in mogano dell’autoreferenziale intellighenzia reggina, ma persino tra la gente comune, illusa da promesse, ingannata da false prospettive occupazionali.
Segno che il centrosinistra è alle corde, stordito e confuso e a nulla servono le varie funi di soccorso lanciate in questi giorni. Finiti i capri espiatori di 6 anni di disastri, Falcomatà sciorina un’altra strategia rossa tramandata nei secoli: l’odio verso gli avversari politici, cui solitamente la sinistra arriva dopo avere tentato dapprima di ridicolizzare e poi demonizzare il nemico da abbattere con ogni mezzo che il fine giustifichi. Falcomatà instilla paura per lo “straniero” Minicuci, il barbaro invasore venuto da fuori (Melito Porto Salvo), la cosiddetta “logica del nemico esterno” per costruire consenso attorno a sé è un metodo storicamente utilizzato dalla maggior parte dei totalitarismi. Ciò consente a Falcomatà di non fare politica, di non parlare di idee e contenuti, di progetti (che non ha e non ha mai avuto) per Reggio.
E il centrodestra non è esente da responsabilità, sia chiaro, se Antonino Minicuci oggi si trova a dovere affrontare una campagna elettorale intrisa di odio e piena di insidie, certo non è per proprie responsabilità. Troppe e lunghe sono le riflessioni da fare sul recente passato nel rapporto tra i nostri partiti ed all’interno di essi, ma adesso non è tempo di recriminazioni, nemmeno personali. Verrà il tempo delle analisi e dei confronti. Il rispetto per il responso delle urne costituisce il primo fondamentale principio della politica democratica e nonostante il mancato raggiungimento di una posizione individuale, non abbandono la nave, non perdo l’amore per la mia cara città; e sento di non poter fare mancare il sostegno mio e di tutti coloro che hanno creduto nel mio progetto all’unica speranza di salvare la mia amata città dalla definitiva distruzione.
In questo momento, l’emergenza ci dice di sorreggere con forza e determinazione Antonino Minicuci in questa seconda tornata elettorale, che definire cruciale non soddisfa il bisogno, la necessità di temere che altri cinque anni di incapacità, arroganza e disinteresse per la cosa pubblica possano davvero significare per Reggio ed il suo comprensorio metropolitano la definitiva disgregazione sociale. Non dovrebbe nemmeno servire tessere le lodi di un candidato autorevole, serio e preparato quale è Nino Minicuci, basta semplicemente andare in giro per la città, guardare le sue strade, i volti delle persone, respirare il senso di rassegnazione, più asfissiante dell’olezzo dei mastelli che giacciono davanti ai portoni, per rendersi conto che votare Minicuci è sì un voto di fiducia ben riposta, ma è prima di tutto un NO alla peggiore sindacatura che gli annali della storia reggina abbiano mai registrato.

Ernesto Siclari