Mi tocca. A questo nuovo giro della rubrica “Cinematocrito” mi vedo costretto a scrivere del cortometraggio “Calabria, terra mia”, diretto da Gabriele Muccino e finanziato dalla Regione Calabria, prima presentato in pompa magna al Festival del Cinema di Roma e poi, una volta caricato in Rete, fatto a pezzi (metaforicamente parlando) da orde di miei corregionali sentitisi offesi o presi in giro da una messa in scena della nostra terra così sciatta e superficiale, bella senz’anima tanto per citare Cocciante.
Da questa mattina, ho ricevuto un’infinità di chiamate e messaggi da parte di parenti, amici e conoscenti indignati (a ragione, preciso) per i vari luoghi comuni (pochi, ammettiamolo, ma davvero indigesti), una rappresentazione anacronistica ed errata della Calabria (l’ormai celeberrimo, divenuto tale in pochissime ore, asinello e i giovani tropeani che, secondo il cineasta romano, vestirebbero ancora anni Cinquanta con tanto di coppola e baffi) e, soprattutto, la sufficienza e la faciloneria con cui il corto ignora bellamente non solo millenni di storia, cultura ed arte calabrese, ma persino diversi posti conosciuti e battuti dal turismo nazionale ed internazionale (non c’è bisogno che li elenchi, lo hanno già fatto praticamente tutti).
Quindi, mi accingo a parlarne. Prima di iniziare, metto subito in chiaro una cosa: in questo editoriale non ci sarà assolutamente spazio per le polemiche politiche, già pretestuosamente sollevate da qualcuno, questa è e rimane una rubrica di cinema in cui si parla di film et similia, non ci interessa sapere quanti soldi pubblici siano stati raccolti per pagare la realizzazione di questo cortometraggio (uno o due milioni, ma c’è chi con un solo milione ha finanziato opere pubbliche ben peggiori) e, se proprio adorate la polemica, andate allora a cliccare da qualche altra parte.
Per iniziare, rivolgo una piccola domanda a tutti coloro che in queste ore stanno dicendo peste e corna del film: e cosa vi aspettavate?! Il cortometraggio è semplicemente quello che è, uno spot di 8 minuti (anzi 6, dato che gli ultimi 2 sono riempiti con i titoli di coda) troppo lungo, che persino quelli di pochi secondi dei profumi d’alta classe, in confronto, sembrano realizzati da Kubrick: piatto, banale, senza sostanza e dalla messinscena fin troppo artefatta; ha una bella fotografia (di Matteo Cocco), ma patinata e finta, persa tra splendidi tramonti sul mare e paesaggi mozzafiato che però restituiscono solamente una parte della variegatissima flora e fauna calabresi (le riprese si sono svolte tra il Vibonese e il Cosentino) ed anche la musica di Paolo Buonvino non è niente male, ma sembra cercare disperatamente d’infondere alle immagini una profondità che, semplicemente, non c’è.
Quindi, torno a ripetere, cosa vi aspettavate, cari indignati, soprattutto da un cineasta come Gabriele Muccino (che firma anche soggetto e sceneggiatura, quindi non ha alibi)? Cosa vi aspettavate dal regista italiano più sopravvalutato di sempre o, se preferite, da un regista padrone della tecnica ma privo di vero talento?
Cosa si può pretendere da una coppia (Raoul Bova e Rocio Munoz Morales) affiatatissima nella realtà, ma poco collaborativa sullo schermo? Per carità, i due ce la mettono tutta nel costruire i loro personaggi e Bova mi è sempre stato simpatico e convincente in certi ruoli, ma otto minuti con lui voce narrante che si perde tra spiegoni sul bergamotto e le clementine (su questo punto non aggiungerò nulla che non sia già stato detto) e la nostalgia del bel tempo che fu e lei che sembra non afferrare bene i concetti espressi sono davvero pesanti ed interminabili! E poi, sarò strano io, ma Bova cosa ci trova di divertente nell’affermazione finale di lei su quanto siano saporiti i fichi? Davvero, scoppia a ridere senza un apparente motivo, oppure sarò io troppo pignolo. Magari la parola “fichi” gli avrà fatto sovvenire qualche pensiero birichino che si ricollega all’inizio del cortometraggio quando lui, in auto, appoggia la mano sulle (belle) gambe della compagna chiedendole dove preferisca andare…boh, non trovo una spiegazione migliore, altrimenti. Ecco, a questo proposito spenderò due parole positive: mostrare, tramite il bel viso di Bova e il suo savoir faire, gli uomini calabresi come languidi marpioni è un aspetto che non mi dispiace. Per il resto che dire, ah ecco: non ho ben capito il motivo delle riprese effettuate unicamente tra Tropea, la Costa degli Dei e l’alto Tirreno Cosentino (se riconoscete qualche altro posto, fatemelo notare). Per quest’ultimo, ci vedrei bene lo zampino della buonanima di Jole Santelli, cosentina pura, ma anche a voler essere buoni, non sembra un gran servizio per la sua zona d’origine: non viene neppure inquadrato il (bellissimo) centro storico della sua Cosenza e lo svarione sull’origine del bergamotto (che attecchisce solamente lungo la costa ionica reggina) è imperdonabile. Per non parlare della gastronomia calabrese, completamente trascurata, a parte la soppressata (che, beninteso, non è uguale in tutta la Regione e per giunta in certe zone non viene neppure prodotta). E la parlata dialettale di maniera, ne vogliamo parlare? Forse Muccino voleva suggerire che una visione così antiquata della vita di provincia calabrese sia solo un viaggio “mentale” del personaggio di Bova tra i ricordi, ma è difficile crederlo in questa realtà palesemente di cartapesta, così finta che neppure la sospensione dell’incredulità può venirci in soccorso.
Qualcuno sostiene che, come vada vada, questo lungo spot potrà comunque tornarci utile per promuovere il turismo in Calabria (e sì che il cortometraggio è stato prodotto dalla Regione proprio nell’ambito di un nuovo progetto per incentivare i viaggi nella nostra terra e valorizzarne paesaggi e cultura); me lo auguro anch’io di tutto cuore, ma sarà ad ogni modo un mezzo servizio che non renderà giustizia nè adeguata visibilità alla nostra bellissima e martoriata terra. De gustibus…
Concludo rivolgendomi direttamente alla compianta Santelli: carissima Jole, ci mancherai ed anche tanto, e speriamo vivamente che tu alla fine non sia riuscita a vedere questo piattume terminato e montato; oppure, dobbiamo credere che questo sia stato semplicemente uno scherzo, una zingarata che ci hai voluto fare mentre ti preparavi ad intraprendere il tuo lungo viaggio senza ritorno. Se è così, non importa, ci faremo una gran risata come sicuramente avresti voluto.