Il TRAILER

Dopo quasi un anno dall’ultima recensione scritta per la nostra rubrica “Cinematocrito”, ecco che mi ritrovo a parlare di un film di genere meritevole di miglior causa. Ah, questa volta recensirò un film straniero; eh sì, mi sono accorto che finora mi ero trovato a dissertare sempre e solo di film italiani, quasi non avessi la capacità (o la volontà) di uscire fuori dai canoni nazionali e cinematografici. Dopo tanto tempo, inoltre, mi occuperò del genere horror, un campo troppo spesso sottovalutato. Il film di cui mi occuperò oggi non ha certo bisogno di presentazioni oppure di una recensione rivalutativa: a 14 anni dall’uscita nelle sale (è stato realizzato nel 2005) è diventato un cult movie internazionale, celebrato e apprezzato da tutti i fan dell’adrenalina. Stiamo parlando di “The Descent – Discesa nelle Tenebre”, diretto dal regista inglese Neil Marshall, un autore poliedrico e amante dei generi, propenso alle citazioni in stile Tarantino ma in grado di costruire storie robuste ed emozionanti; Marshall, inoltre, ha realizzato il recente “Hellboy”, che uscirà in Italia il prossimo 11 aprile. Andiamo ad analizzare il film.

La trama

Sei amiche inglesi (Sarah, Juno, Beth, Rebecca, Samantha e Holly), appassionate di sport estremi, intraprendono un’escursione in una grotta sotterranea inesplorata tra le catene montuose statunitensi (in realtà, la pellicola è stata girata interamente in Scozia). Nel gruppo spiccano Sarah, ancora traumatizzata per la perdita del marito e dell’unica figlia Jessy, periti un anno prima in un terribile incidente stradale dal quale la donna era invece sopravvissuta, e Juno, la leader, che in passato ha avuto una relazione proprio con il consorte dell’amica. Nel corso della perlustrazione delle grotte, le donne finiscono intrappolate nei meandri del complesso a causa del crollo di alcune rocce che ostruiscono l’unica via d’ingresso ed iniziano così un viaggio disperato nel buio più totale per trovare una possibile uscita dagli anfratti. A mano a mano, i nervi saltano, ma il vero pericolo si rivela una tribù di cavernicoli ciechi e cannibali, che vivono da tempo immemore nelle viscere di quelle grotte; sarà una lotta per la sopravvivenza fino all’agghiacciante finale (che per correttezza non rivelo, ma vi lascerà sconvolti e frastornati).

Il primo horror al femminile

Il talento di Marshall sta tutto nel dosare sapientemente gli elementi tipici del genere horror (ed anche alcuni luoghi comuni, come il gruppo che inevitabilmente si divide dopo il primo attacco delle creature) con uno dei suoi sottogeneri più abusati (lo splatter, questa volta però utilizzato in modo efficace e necessario, senza compiacimenti gratuiti) per riflettere sulla potenza terrificante del buio, da sempre la sede delle paure più ancestrali dell’umanità, e per raccontare una concreta discesa nelle “tenebre” dell’inconscio popolate da mostri inimmaginabili. Infatti il buio è il protagonista assoluto della pellicola, presente per oltre quattro quarti di film e rappresentato in modo assolutamente realistico senza lasciar intravedere l’ausilio delle luci di scena.
Ma il fattore più originale della storia è che essa è popolata da sole donne (una cosa inusuale per un horror) e si assiste ad un’atmosfera paurosa permeata però di una sensibilità femminile che lascia il pubblico, quello dei maschietti, molto spesso spaesato. Forse, anche per girare un film diverso dal suo horror d’esordio “Dog Soldiers” (2002) in cui i protagonisti erano tutti uomini, per giunta militari e machi, Marshall elimina letteralmente il genere maschile da “The Descent” (l’unico uomo della storia, il marito di Sarah, viene liquidato nei primi dieci minuti), lasciando così le donne padrone del campo, anche se a volte incespica in qualche stereotipo femminile con un po’ di ingenuità.
Ma il film è bello proprio per questo: l’azione avanza di pari passo con la curiosità nel vedere queste ragazze in una situazione che, in troppi film, è sempre stata dominata dagli eroi maschi che arrivano a salvare la bella di turno, mentre qui le donne devono (finalmente, oserei dire) cavarsela da sole e con una dose di coraggio non indifferente. Anzi, tutta la pellicola può essere letta come una proiezione delle paure, dei desideri, ma anche degli aspetti più odiosi che possono celarsi nell’animo di una donna: come affermato prima, però, il regista schematizza un po’ troppo le sue protagoniste, che sembrano incarnare ciascuna un preciso sentimento. Sarah è la maternità negata, la sua migliore amica Beth è la classica donna troppo intelligente (ovviamente single), le due sorelle Samantha e Rebecca rappresentano la profonda complicità, Juno l’ambizione egoista (come glielo sottolinea anche Beth ad un certo punto: “La colpa è solo tua e del tuo ego senza limiti!”), mentre l’irlandese Holly incarna l’impulsività e l’incoscienza (ed infatti sarà la prima a rimetterci le penne).
Tutti elementi smarriti nelle profonde cavità di uno spaventoso e claustrofobico antro che per molti versi ricorda l’utero materno, con quei cunicoli stretti in cui si passa a fatica e quegli strani laghi colmi di acqua, sangue e altri liquami non identificabili che devono essere guadati per raggiungere una salvezza che forse non c’è.

Personaggi non sempre positivi

Marshall non pone mai l’accento sui cannibali (che nell’aspetto sembrano vampiri e di cui non conosceremo mai l’origine), ma sui rapporti tra le amiche che, se mai ci sono stati, si sciolgono quasi subito come neve al sole mostrando cosa non ci si aspetterebbe da quelle che sono pur sempre le protagoniste, rappresentate in alcuni momenti come delle vere anti-eroine. Qualche esempio: eccetto Beth, le ragazze sembrano non dare troppo peso al persistente dolore di Sarah per la morte della figlioletta, soprattutto Juno che, essendo stata l’amante del marito, sembra voler quasi colpevolizzare la donna; quando, dopo il primo attacco dei cavernicoli, il gruppo si divide nell’oscurità, quasi nessuna delle donne interviene per aiutare le altre; Juno uccide involontariamente Beth e, anziché soccorrerla, la abbandona a morire dissanguata; Sarah che, in sottofinale, uccide Juno, ma non si comprenderà mai se lo fa per vendicare Beth (che precedentemente, in fin di vita, glielo aveva rivelato) oppure perché ha scoperto la tresca della ragazza con il suo defunto uomo.
Per caso Marshall vuole ricordarci l’inesistenza della solidarietà femminile (che tra l’altro, è l’ennesimo luogo comune del film) oppure vuole mostrare l’esatta reazione e le debolezze umane di fronte all’oscuro e al terrore? In effetti, rispetto a “Dog Soldiers”, in cui i protagonisti hanno a che fare con un branco di licantropi e sono militari addestrati a combattere nonostante l’ovvia sprovvista a cui sono colti nell’affrontare le oscure creature della notte, in “The Descent” abbiamo invece persone comuni, senza particolari abilità, che si ritrovano a fronteggiare qualcosa di più grande di loro e tutto ciò ne facilita l’identificazione con lo spettatore. Comunque sia, è il modo di rappresentare che puzza un po’ di misoginia, come d’altronde succedeva anche nella pellicola del 2002, in cui c’era un’unica donna in mezzo a tutto quel testosterone che alla fine si rivelava per giunta la cattiva della storia, e Marshall ne deve aver tenuto conto, al punto che (magari per evitare qualche polemica) nel suo film successivo, il fantascientifico distopico “Doomsday – Il giorno del giudizio” del 2008, la protagonista sarà un’eroina d’azione tutta d’un pezzo.

Il film e le attrici

Malgrado questi aspetti, è indubbio che “The Descent” sia stato qualcosa di più rispetto alla media degli horror dei primi anni Duemila; ricordiamo infatti che in quel periodo spopolavano in tutto il mondo i cosiddetti “horrorini”, quegli scialbi film di paura (di produzione quasi sempre statunitense) popolati da odiosi ragazzini fighetti, in cui l’elemento più spaventoso era costituito solo dagli sbadigli di noia dello spettatore, eccezion fatta, ovviamente, per “The Ring” e la scoperta dell’horror giapponese.
Ma il film è divenuto un cult grazie alla sua fattura: per forza di cose, punta molto sull’atmosfera in perfetta funzione narrativa, a causa del budget basso e del desiderio di illustrare davvero il buio più profondo. Grazie all’abilità del direttore della fotografia (Sam McCurdy), del montatore (Jon Harris) e dello scenografo (Simon Bowles), l’oscurità sembra quasi densa, soffocante e rifugio di creature orribili, ogni tanto invasa da bagliori di luce rossa, verde e gialla proveniente prima dalle torce elettriche e poi da quelle di fuoco (in perfetto stile horror d’antan), che contribuiscono a creare delle immagini molto belle e ben costruite, senza che questo vada mai a scapito della paura. Anche gli effetti speciali meritano una nota a parte: ai tempi del digitale, Marshall recupera quelli artigianali e il succo di pomodoro, nonché il trucco realizzato interamente in lattice (quello dei cavernicoli, interpretati tutti da stuntmen e acrobati) con risultati davvero paurosi.
In generale, il regista ha saputo immaginare una storia in cui orrore e commozione si fondono perfettamente come solo gli inglesi sanno fare (non dimentichiamo i romanzi orrifici dell’età romantica), in cui i personaggi sono dipinti con sfumature psicologiche reali, al punto da dispiacerci sinceramente quando muoiono, una cosa che nell’horror accade molto di rado. E la storia è imprevedibile e per nulla scontata. Come film, insomma, “The Descent” ha saputo dare una nuova linfa vitale al genere tracciando una strada che, tra alti e bassi, è ancora battuta da diversi cineasti: la fama di cult è dunque meritatissima.
E adesso spendiamo qualche parola sul cast: le attrici, non famosissime, sono tutte ottime e all’altezza dei ruoli, come d’altronde ci si aspetta dagli attori inglesi, i quali non deludono mai in qualunque pellicola stiano recitando. Tra di loro, menzioniamo Nora Jane Noone (Holly), vista nel film “Magdalene” di Peter Mullan, e Natalie Mendoza (Juno), cantante hongkonghese inserita forse per attirare il mercato asiatico.